La Repubblica di Bari intervista Daniele Martini
Il quotidiano La Repubblica – Edizione di Bari in occasione della data di Dorian Gray la bellezza non ha pietà al Teatro Petruzzelli, il 22 e 23 giugno, ha intervistato Daniele Martini.
Ecco la bellissima intervista di Antonio Di Giacomo con richiamo in prima pagina
Ecco il formato solo testo dell’intervista
Di ANTONIO DI GIACOMO
Siamo tutti Dorian Gray. È da questo presupposto che Daniele Martini, è partito nella costruzione dei testi e delle musiche dello spettacolo Dorian Gray. La bellezza non ha pietà, opera di teatro musicale che, prodotta dalla maison Pierre Cardin e con la regia di Emanuele Gamba, approda oggi e domani sul palco del Petruzzelli di Bari.
«Siamo tutti Dorian Gray perché spiega Martini- oggi il ritratto non c`è più ma è di uso comune il selfie stick. Ci facciamo delle foto, vivendo nell`attesa dell`approvazione o dell`attesa della nostra immagine»
Il selfie e la sua veicolazione sui social network sono diventati lo specchio di Narciso del presente?
«Direi proprio sì. Tutte le cose in sé non hanno una colpa, ma è l`uso che ne facciamo a prefigurarne gli esiti. Anche lo stesso specchio di Narciso era uno specchio d`acqua innocuo, solo che lui ne ha fatto un uso diverso. È sempre dentro di noi, allora, che dobbiamo trovare le risposte alle domande».
Il selfie ha preso anche il posto del ritratto di Dorian Gray?
«Esatto. Può fare questa vece, fatto salvo che dipende da come lo si vive. Siamo tutti più soli e l`autoscatto di una volta è diventato un gesto verso se stessi. Abbiamo bisogno attraverso l`approvazione della nostra immagine di sentirci parte di tutto e di tutti. È uno degli archetipi fondamentali dell`essere umano». Solo che tutto questo avveniva prima nella realtà e ora ne virtuale. «Per rimanere col parallelismo con Dorian Gray le foto che noi condividiamo, per usare un termine più appropriato, sono spesso alterate se non “truccate”. Restituiscono un`immagine diversa della realtà. Per questo proprio come il ritratto sono vere nella loro fisicità, ma non sono reali nel loro contenuto».
Siamo nell`era della dittatura dell`apparenza invece che dell`essere?
«Sì, anche se forse più che di una dittatura si tratta di una condizione accettata. Non è imposta. È la religione del nuovo millennio, perché è una forma di idolatria che si realizza attraverso l`uso dell`immagine in questi termini. E tutto questo rafforza la solitudine dell`individuo, perché se siamo tutti dei rimaniamo tutti uguali alla fine. Non c`è soddisfazione in questo».
Parliamo dello spettacolo. Quanto c`è del romanzo di culto di Oscar Wilde in questo Dorian Gray?
«A livello testuale ho compiuto un adattamento molto radicale, perciò di Wilde non è rimasto che un pugno di aforismi. Mentre per quanto riguarda i contenuti wildiani invece l`opera ne è pregna e ne dà ampiamente spazio. Anche la cronologia degli eventi e la scansione della trama del romanzo sono rispettati a ben guardare».
A cambiare, insomma, sono le modalità di narrazione?
«Di fatto ho immaginato quello che Dorian Gray poteva dire a se stesso nella sua solitudine».
Vale a dire?
«Descrivere le sue emozioni dinanzi a ciò che ha vissuto, cercare di travestire le paure con altri nomi per fuggirle e porsi le domande esistenziali che tutti noi ci poniamo».
Il sottotitolo dello spettacolo è “la bellezza non ha pietà”. Perché?
«La bellezza intesa come qualcosa di reale e non un prodotto della logica è disarmante. Non ha pietà perché nulla regge il confronto. Non ha bisogno di spiegazioni. esiste di per se stessa. E dinanzi alla bellezza le nostre imperfezioni gridano».
Dorian Gray si annuncia come opera di teatro musicale. Come è avvenuto l`intreccio dei linguaggi e dei piani di narrazione?
«Volevo ricreare il mondo interiore di Dorian Gray sul palcoscenico e per far questo ho sottratto tutto quello che nel romanzo è fisico e l`ho consegnato solo alla voce di un unico attore, sicché tutti i personaggi del romanzo finiscono col vivere dentro la testa di Dorian Gray. Così Federico Marignetti interpreta tutti i personaggi contemporaneamente e questo per sottolineare che per un personaggio come Gray gli altri non contano, esistono solo nella misura in cui gli suggeriscono ricordi. Per completare il contrappasso in scena ho messo l`unica cosa che fisica non è: parlo dell`anima, che rappresento attraverso l`azione scenica di un mimo. Le musiche, infine, servono a sottolineare e a evidenziare alcune emozioni precise».
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